4.200 anni fa il clima cambiò, i monsoni seguirono altri percorsi e tutto quello che oggi chiamiamo Iran sud-orientale divenne un ambiente secco e inospitale.
Dalle tombe gli archeologi hanno prelevato spoglie di bimbi malnutriti.
Il cambio di clima portò alla fine di una civiltà.
I nostri ricercatori dell’Università del Salento, hanno fatto tornare alla luce le spoglie della città di Shahr-i-Sokhta che significa: città bruciata e chiamata anche la Pompei d’Oriente.
Pompei fu conservata dagli starti di lava, questa città si è conservata grazie agli strati di sabbia.
Gli scavi hanno rivelato splendidi oggetti, pietre preziose come la corniola con incastonate luminose perle.
La storia di Shahr-i-Sokhta parte da ben 5.500 anni fa e deve tutto a un fiume, l’Hirmand che scende dalla catena dell’Hindu Kush, attraversa tutto l’Afaghanistan e arriva sugli altopiani iraniani. Grazie al fiume il territorio era molto fertile con culture, boschi e abbondante fauna selvatica; ideale per la nascita di una città importante.
All’inizio vi abitavano 1.550 individui, ma nei suoi 1.300 anni di storia raggiunse la cifra di 10.000 persone.
La città era divisa in zone per l’artigianato, i templi, le abitazioni e la necropoli con sepolture più o meno ricche; secondo chi vi veniva sepolto.
Qui tanti clan tribali vivevano in concordia; non c’era un potere accentratore. Le formelle trovate nelle case rivelano annotazioni contabili; registrano le entrate e le uscite.
La città prosperò perché si trovava sulla linea dei commerci dell’epoca. Gli artigiani lavoravano i metalli preziosi cesellavano i lapislazzuli (che provenivano dalle montagne dell’Afghanistan); a dorso dei cammelli viaggiavano anche raffinate ceramiche, verso la ricca Mesopotamia.
Non c’è ancora la certezza che questa sia la mitica città di Aratta, ma siamo sulla buona strada per dimostrarlo.
Nei testi sumerici si accenna alla città di Aratta come colma di ricchezze, gioielli oro, argento e lapislazzuli.
Gli scavi continuano e forse troveremo la prova incontestabile.
