“La moglie”, romanzo di Jhumpa Lahiri; Guanda editore.
“Puoi essere una donna indipendente, ma è tutto inutile se non riesci a superare i tuoi conflitti”.
Questa frase estrapolata dal testo è forse la più emblematica del messaggio universale contenuto in questo libro, scritto da una donna speciale che può far riflettere tutte noi, qualunque sia la nostra religione, cultura e ceto sociale.
L’autrice è figlia di padre nato in Bangadlesh, ma vissuta negli USA e oggi vive a Roma; perché vuole migliorare il suo italiano, lingua che usa per scrivere il suo diario personale.
Una donna ricca di esperienza e buon senso, una donna che sa parlare alle donne.
Un libro-spunto per una riflessione sulle scelte femminili degli ultimi decenni.
Jhumpa Lahiri, premio Pulitzer, parte dalla storia vera di due fratelli, filomaoisti, fucilati a Calcutta durante la violenta repressione del movimento rivoluzionario. I due uomini, poco più che ragazzi, furono fucilati per strada, davanti agli abitanti del quartiere. Accadeva a Calcutta, alla fine degli anni Sessanta.
Il padre della scrittrice aveva assistito di persona a quella scena e l’aveva descritta alla figlia, molti anni dopo i lunghi soggiorni a Londra e New York.
-Il romanzo inizia con la storia di due fratelli dei quali solo uno si butterà a capofitto nell’avventura rivoluzionaria, in quel medesimo quartiere dove, durante il monsone, piccoli stagni diventavano laghi e crescevano le mangrovie.
L’altro fratello finirà con l’emigrare per vivere, come tanti giovani e brillanti studenti indiani, negli Stati Uniti dove si adeguerà ai costumi locali facendoli propri.
La morte di Udayan, il fratello ribelle, segnerà per sempre la vita di Subhash e della sua, apparentemente, tranquilla famiglia.
Lahiri riesce a spiegare la complessità di ragioni e sentimenti e farci vivere vicende, paesaggi e tradizioni così lontani da noi, eppure così simili per quel sentimento umano che tutti ci unisce al di là di ogni religione e ceto.
