I livelli più bassi dei militari turchi hanno da anni subito il fascino e le suggestioni libertarie del predicatore sunnita Fethullah Gulen, uomo ricchissimo, potentissimo e con addentellati in tutto il territorio turco, il quale dal 1999, prima che Recep Tayyip Erdogan andasse al potere, fuggì negli Usa chiedendo asilo politico.
Erdogna e Gulen furono, in passato, legati da un patto d’acciaio.
Gulen, da Saylorsburg, in Pennsylvania, ha sempre sostenuto una linea della moderazione.
I dissapori nascono quando Erdogan mostra di non sopportare i legami influenti, anche con il mondo cattolico, di Gulen.
Dal 2013, Erdogan si convince che Fethullah Gulen trami contro di lui.
Di fatto, i giornali di Gulen denunciano: truffe del regime, scandali finanziari, legami con l’Isis, armi ai terroristi in Siria ecc…
Una volta presidente della Repubblica, Erdogan, per almeno due volte, chiede al presidente Barack Obama di estradare Gulen; intanto chiama quest’ultimo: «terrorista che mina alle radici la democrazia turca».
Ed eccoci al golpe:
-più veloce della durata di un concerto rock
-colpo di Stato senza adeguati mezzi
-senza commandos incapaci di catturare il leader e i suoi principali collaboratori
-durante il golpe i ribelli occupano: la televisione, ma non hanno preparato un adeguato comunicato d’emergenza
-i soldati ribelli sembravano sbandati, nessuno di loro, o quasi, ha sparato sui primi cittadini che li hanno attaccati.
Barak Obama non potrà mai estradare Gulen; che rischia la tortura e, forse, anche la pena di morte.
